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15/09/2013

Il messaggio di Torino: l’Italia cresce se la famiglia cresce | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Nessuna società può crescere, può distribuire benessere in modo equo, condiviso e allargato, può chinarsi sui bisogni degli ultimi, se le famiglie per prime non crescono, se per prime non educano al senso di giustizia e di solidarietà, se per prime non sanno trasformarsi in ponte tra le generazioni. Se nelle famiglie non si coltivano memoria e futuro, se non si alimentano speranze fondate, se i genitori non riescono più a essere testimoni di vita buona e di principi capaci di umanizzare il cuore, dobbiamo prepararci a una società sempre più disgregata, più manipolabile, meno vivibile per tutti.

Contro questo rischio il messaggio che arriva dalla Settimana sociale dei cattolici italiani, che domenica sera si chiude a Torino, è tanto esplicito quanto confortante. Esiste nel nostro Paese una larga base di comunità, di associazioni, di movimenti, ma anche di singole famiglie che hanno deciso di alzare la voce, di affermare con rispetto e con civiltà ma anche con energia e con determinazione le loro buone ragioni. Lo slogan è semplice ma ricco di prospettive: se cresce la famiglia, cresce il Paese. Se la famiglia è debole, come ha detto il cardinale Bagnasco, anche il Paese, anche l’intera società rischia di indebolirsi e di chiudersi in se stessa. Non è un destino ineluttabile. Anzi, da quanto si è visto qui a Torino, le energie per risalire la corrente ci sono. Le idee anche, la voglia di spendersi per trovare soluzioni condivise è tanta.

Nessuna verità precostituita, nessuna pretesa egemonica, ma la consapevolezza sempre più allargata che solo a partire da un’identità familiare forte e non annacquata sarà possibile aprirsi al confronto e al dialogo. Se sono chiare le fondamenta dell’architettura familiare, se è chiara la cultura della differenza uomo-donna, se è chiaro il valore della reciprocità, sarà possibile scendere in campo aperto senza incertezze e offrire a chiunque una ricchezza umana e culturale che arriva da lontano e guarda lontano. Lo straordinario capitale umano, sociale e relazionale rappresentato dalla famiglia non è del resto una risorsa confessionale.

Se si riconosce che la famiglia è valore senza etichette e senza barriere sarà difficile opporsi a proposte limpide e concrete, come quelle arrivate in questi giorni alla Settimana. A chi non interessa un fisco più equo, un sistema capace di risolvere la crescente difficoltà dei giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, una scuola in grado di tornare ad assolvere i suoi compiti educativi integrando il ruolo comunque prioritario e irrinunciabile dei genitori? Ma non solo. Perché non riconoscere alla famiglia una personalità giuridica, trasformandola in ente di rilevanza pubblica? Perché non introdurre una sorta di indice di “compatibilità familiare” per le nuove leggi sul modello di quello già esistente per l’ambiente, nella consapevolezza che senza ecologia delle creature non ci potrà essere alcuna ecologia del Creato, come ha fatto notare Stefano Zamagni? Sì, se evitiamo i paraocchi ideologici e le posizioni pregiudiziali, far crescere la famiglia è possibile. E il Paese di conseguenza crescerà in modo più armonico, solidale ed accogliente.

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February 09, 2014 at 01:00AM

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14/09/2013

«Il gesto del Buon Samaritano ha chiuso la sua vita terrena» | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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L’esistenza di Eleonora Cantamessa, la ginecologa di 44 anni uccisa domenica sera a Chiuduno (Bergamo) mentre soccorreva un indiano ferito, è stata una «testimonianza di carità cristiana». Eleonora «metteva gratuitamente la propria professionalità al servizio di tante persone bisognose» e «ha concluso la sua vita terrena compiendo il gesto del Buon Samaritano». Con queste parole Papa Francesco, «commosso» per la «tragica morte» della dottoressa «uccisa con efferata violenza», ha inteso unirsi spiritualmente alla Messa celebrata ieri per lei nella parrocchia di Sant’Anna in Brescia. In un telegramma a firma dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, inviato al vescovo di Brescia, Luciano Monari, il Papa, affidando alla «materna intercessione della Vergine Maria» la defunta, ha inviato la benedizione apostolica anche a parenti, colleghi e amici di Cantamessa.

Ieri sera, proprio dalla clinica Sant’Anna di Brescia, dove la specialista lavorava da 14 anni, è partita una fiaccolata per ricordarla. I funerali saranno celebrati oggi, alle 15, nella chiesa parrocchiale di Trescore Balneario (Bergamo), il paese dove viveva e dove aveva il suo studio, all’interno del quale, da ieri, è stata allestita la camera ardente.

Sul fronte giudiziario, resta in carcere, con l’accusa di omicidio volontario, Vicky Vicky Kumar, l’immigrato indiano che ha investito suo fratello Baldev (pure deceduto) ed Eleonora Cantamessa accorsa in suo aiuto. La Procura di Bergamo ha sequestrato le immagini delle telecamere collocate in via Kennedy, a Chiuduno. Immagini che, da quanto si è appreso, smentirebbero la versione fornita da Vicky Vicky. Al gip l’arrestato ha riferito di non essersi accorto di andare addosso a qualcuno in macchina e che era come se l’auto andasse da sola. Dal filmato sembrerebbe invece un investimento volontario.

Intanto, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, ha deciso di rivolgere al ministro della Salute la richiesta di una medaglia al Merito della sanità pubblica, e al ministro dell’Interno quella di una medaglia al Valor civile, sia per Eleonora Cantamessa, sia per Paola Labriola, la psichiatra uccisa a Bari mentre svolgeva il suo lavoro.

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February 09, 2014 at 01:00AM

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14/09/2013

Difendere la vita: già un milione di firme | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Oltre un milione di firme. Raggiunto il primo obiettivo della campagna europea Uno di Noi. Ora il testo dovrà essere discusso dal Parlamento europeo. Soddisfazione del comitato italiano presieduto da Carlo Casini. L’annuncio è stato dato ieri durante una conferenza stampa a Torino in occasione della 47° Settimana Sociale dei cattolici dedicata alla famiglia.

Tante firme per chiedere con forza che l’Unione Europea non finanzi più campagne a favore dell’interruzione di gravidanza e di sperimentazione sugli embrioni sia attraverso proprie linee di salute pubblica, sia indirettamente sostenendo economicamente quelle di organizzazioni private. Si chiede alla Ue di impegnare i soldi dei cittadini europei per promuovere la vita e non per sopprimerla. Ma l’impegno continua perché come evidenzia Casini, «più firme raccogliamo, più forte sarà la nostra voce sul tavolo europeo». Ancora una quarantina di giorni per allargare il consenso.

«La quota raggiunta – ha infatti sostenuto Maria Grazia Colombo, portavoce del Comitato italiano – non la consideriamo un traguardo, ma una tappa. Continuiamo il nostro lavoro e chiediamo sostegno fino alla fine di ottobre». I dati parlano chiaro. Ad oggi 360mila italiani hanno firmato, ma ancora molte adesioni cartacee non sono giunte al comitato, tra l’altro premiato per il suo lavoro anche a livello europeo. Sono in crescita Germania, Grecia, molto forte anche la raccolta in Polonia. Hanno superato inoltre la soglia anche Austria, Spagna, Francia, Ungheria, Lituania, Olanda, Romania, e Slovacchia.

«Ogni singola firma è importante – ha ribadito Colombo chiedendo ancora uno sforzo –. Si insiste sull’utilizzo dell’online. Rilanciato il Clickday europeo del 22 settembre. Un modo per sensibilizzare ancora su Uno di Noi utilizzando la rete. Tante le organizzazioni, le associazioni i movimenti che nei loro siti ripropongono il banner, da cui si può accedere per firmare. Nell’era dei social network, la raccolta firme cartacea però, ad oggi, è ancora in testa.

Oltre 600mila a 425mila (in Italia il rapporto è 292mila a 68mila). Dal comitato l’invito ad utilizzare sempre più la rete anche per l’immediatezza e la velocità della raccolta. Non si sta mobilitando solo il mondo cattolico. Nella prima settimana di ottobre la raccolta firme nelle scuole sia statali, sia paritarie, sarà promossa anche da sigle di varie associazioni di categoria. Dietro ogni firma c’è una persona, l’adesione spesso è occasione di dialogo e di confronto sui valori fondamentali dell’esistenza. «Non sempre è semplice – ha ammesso la portavoce del Comitato – riuscire a far passare il nostro messaggio, a volte viene frainteso. Scambiato per una campagna referendaria».

Ma l’impegno sta dando i suoi frutti. E ancora arriveranno firme, considerate le tante iniziative in programma nei prossimi giorni. Come quella dell’Unitalsi, che sui treni bianchi dei malati verso Lourdes, nella settimana dal 21 al 28 settembre, continuerà la raccolta per poi installare, nei dintorni del santuario mariano, una postazione web. Fioriscono le idee di promozione: l’associazione Papa Giovanni XXIII, ad esempio, abbina la campagna Uno di Noi a “un pasto al giorno”. E ancora, il Rinnovamento nello Spirito Santo la unisce alla manifestazione “10 piazze per 10 Comandamenti” che si concluderà proprio a Torino il prossimo 5 ottobre. E per gli oltre 1.300 delegati alla Settimana sociale della città della Mole, nell’atrio del Teatro Regio, campeggia un piccolo stand. «Ma siamo certi – chiosa Colombo – che ciascuno di loro abbia già offerta la sua firma».

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February 09, 2014 at 01:00AM

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31/08/2013

Giovani siriani sbarcano a Catania | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Sono quasi tutti giovanissimi maschi siriani ed egiziani i 110 migranti sbarcati a Catania. Tra loro anche una cinquantina di minorenni. Due di loro, per precauzione, sono stati condotti in ospedale per accertamenti perchè debilitati dal viaggio.

L’ipotesi privilegiata è che anche questo sbarco abbia seguito le tecniche di quelli precedenti avvenuti in zona: una «nave madre», un grosso mercantile ad esempio, sulla quale sono stati caricati i migranti, abbandonati poi al largo della Sicilia su una vecchia carretta del mare che trascinavano a rimorchio. Per la Procura di Catania questo tipo di traversata confermerebbe ancora una volta l’esistenza di una grossa organizzazione internazionale che gestisce le traversate di migranti nel Mediterraneo.

Uno sbarco si è verificato anche in Calabria. A Roccella Jonica in mattinata sono approdati 130 migranti, tra cui una trentina di bambini e numerose donne, una delle quali incinta al settimo mese. Sono tutti siriani e somali, giunti nel porto dopo cinque giorni di viaggio.

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July 08, 2015 at 02:00AM

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31/08/2013

Premiare Azzardopoli? Zamagni: «Moralmente illecito» | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Parla di nichilismo morale e di tradimento di un principio base dell’etica pubblica il professor Stefano Zamagni, ordinario di economia politica a Bologna, economista civile, nel giudicare il «condono» che il governo concederà alle società concessionarie delle slot machine allo scopo di reperire risorse per finanziare l’abolizione dell’Imu. Solo 620 milioni di euro a carico del mondo dell’azzardo, a fronte dei 2,5 miliardi indicati da una sentenza della Corte dei conti per le irregolarità che avevano commesso nell’allacciamento delle slot alla rete che avrebbe dovuto calcolare giocate e incassi. Generando una maxi evasione.

«Mi spiace, ma il governo ha fatto una brutta scivolata – sostiene Zamagni –. Di fatto questo non è un premio, ma piuttosto un incentivo concesso per sanare un debito pregresso. Il problema è che viene dato a società che non rappresentano certo il lato virtuoso dell’economia di mercato».

Probabilmente i 2,5 miliardi di euro lo Stato non sarebbe riuscito a incassarli tanto facilmente. Dunque non è meglio ottenere un terzo subito?
Il governo ha motivato questo provvedimento proprio con la necessità di fare cassa. Ma in transazioni di questo tipo, come insegna qualunque teoria etica, bisogna verificare che nell’analisi dei costi e dei benefici i termini in gioco appartengano al medesimo ordine di valori. In questo caso non è così.

Perché?
Il beneficio è sul piano economico e monetario, dato che produce un aumento delle entrate fiscali. Il costo, invece, è la chiara violazione di un principio di etica pubblica nell’agevolare attività moralmente illecite.

Illecite?
Attenzione, dobbiamo essere chiari. È evidente che si tratta di attività legittime, in quanto legittimate dalla legge. Questo nessuno lo mette in discussione, e lo dico senza entrare nel merito delle violazioni commesse dalle società e che poi ha portato alla sanzione per il danno erariale procurato. Il problema è che non tutto quello che è concesso dalla legge può essere allo stesso tempo considerato lecito moralmente. Altrimenti parleremmo di nichilismo morale, l’idea di Friedrich Nietzsche per cui la legittimità coincide con la liceità.

Ed è il caso di questo provvedimento?
La sanatoria della multa alle società delle slot nasce con lo scopo di fare cassa, ma per raggiungere questo obiettivo si accetta il principio del nichilismo morale. Un brutto provvedimento, in quanto fa credere che vi sia una sanatoria per ottenere subito una somma che non si era sicuri di incassare, ma invece il costo che si viene a determinare comporta pesanti ricadute sociali. Diciamo pure che il governo attua una specie di neo-macchiavellismo addolcito.

Torniamo al problema iniziale: di fronte al rischio di non incassare mai quei soldi, quanto regge l’»accusa» di nichilismo?
Il fatto è che le lobby organizzate riescono sempre a ottenere ciò che chiedono. E le concessionarie delle slot machine hanno ottenuto di pagare solo un terzo di ciò che dovevano. Viene violato un principio di etica pubblica senza che vi sia un reale vantaggio per l’erario.

La cifra non è così bassa.
È semplicemente ridicolo: 600 milioni di euro per un Paese di 60 milioni di abitanti? Stiamo parlando di soggetti che svolgono attività non lecite da un punto di vista morale ai quali il governo concede anche un incentivo sotto forma di condono. È una cosa pericolosa, ci si mette su un piano pendente molto rischioso per dove ci può portare: un cristiano non dovrebbe accettare di scendere a questi livelli.

>>> VAI AL DOSSIER

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July 08, 2015 at 02:00AM

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31/08/2013

L’amore per il creato cresce in famiglia | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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A custodire il creato s’impara in famiglia, non solo perché tra le mura domestiche si apprendono le buone pratiche, ma soprattutto perché in questo ambiente primario si può diventare donne e uomini in grado di coltivare relazioni solide e solidali con gli altri e con il mondo. È questo il senso del messaggio che la Chiesa italiana lancerà domani celebrando l’8ª Giornata per la custodia del creato. Un evento, che, fin dalla prima edizione del 2006, si propone come occasione speciale per richiamare a uno sforzo comune nella cura dell’ambiente, primo dono di Dio all’umanità. Non si tratta, quindi, di una semplice «campagna promozionale» a favore di scelte di vita più sostenibili, ma di un modo per testimoniare i valori radicati nel Vangelo. Lo ricorda bene il messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, inviato per questa Giornata lo scorso 7 giugno.
Un discorso che si apre con l’icona della famiglia di Nazareth, come modello di «scuola di custodia e di sapienza». La scelta di mettere al centro la famiglia, poi, nasce anche dal tema che guiderà la 47ª Settimana sociale dei cattolici italiani: «La famiglia, speranza e futuro per la società italiana» (Torino, 12-15 settembre 2013). D’altra parte anche la Gaudium et Spes – uno dei principali documenti del Vaticano II di cui si sta celebrando il 50° anniversario – ricordava che la famiglia è «una scuola di umanità più completa e più ricca».
Al tema della salvaguardia del creato, inoltre, contribuiscono anche i gesti e le riflessioni di papa Francesco, che porta il nome del santo che nel 1979 Giovanni Paolo II proclamò patrono dei cultori dell’ecologia.
«Come vescovi che hanno a cuore la pastorale sociale e l’ecumenismo, indichiamo tre prospettive da sviluppare nelle nostre comunità – si legge nel messaggio della Cei –: la cultura della custodia che si apprende in famiglia si fonda, infatti, sulla gratuità, sulla reciprocità, sulla riparazione del male». In questa opera, concludono i vescovi, va aggiunta anche «la custodia della sacralità della domenica». Il testo integrale del messaggio – già pubblicato da Avvenire – è reperibile nel sito internet della Cei, che propone anche un sussidio per vivere la Giornata attraverso la celebrazione, la riflessione, l’approfondimento, la festa.
L’intera Penisola, infatti, verrà animata dagli eventi in programma per questa occasione: un calendario che avrà il cuore nelle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Gubbio, dove si terrà la celebrazione nazionale. Intenso il programma degli appuntamenti nella terra di san Francesco, dove proprio in questi giorni si terranno anche la 34ª edizione della Cavalcata di Satriano e la 5ª edizione del pellegrinaggio a piedi «Il sentiero di Francesco». Stamattina alle 8.30 sarà proprio la partenza della Cavalcata ad aprire la giornata a Rivotorto di Assisi. Alle 10, poi, al Sacro Convento di Assisi si terrà la sessione scientifica del Convegno «Custodire il creato per un futuro sostenibile». Il programma di questa prima parte prevede l’intervento di esperti e studiosi come Corrado Clini (direttore generale del Ministero dell’Ambiente), Franco Cotana (Università di Perugia), Andrea Segrè (Università di Bologna), Simona Beretta (Università Cattolica), monsignor Angelo Casile, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro.
Nel pomeriggio, alle 15, si terrà la sessione teologica con Simone Morandini (Fondazione Lanza), Alessandra Smerilli (Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione), padre Egidio Canil (superiore del convento Franciscanum di Assisi) e monsignor Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Alle 21 nella Basilica inferiore di Assisi è prevista una Veglia di preghiera. Domani ad Assisi alle 9.30, poi, in piazza del Vescovado i presenti ascolteranno storie e testimonianze nei luoghi della «spoliazione» di Francesco. Alle 11 nella chiesa di Santa Maria Maggiore ci sarà la Messa trasmessa in diretta su Tv2000 e Rai Uno, presieduta dall’arcivescovo Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. Seguirà il collegamento in diretta con l’Angelus del Papa attraverso la trasmissione «A Sua Immagine». Alle 12.45 è prevista la preghiera sulla tomba di san Francesco e la benedizione dei pellegrini in partenza per «Il Sentiero di Francesco». Alle 16 nel Sacro Convento si terrà uno spettacolo dedicato al Poverello, mentre alle 18.30 si chiuderà la Giornata.

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July 08, 2015 at 02:00AM

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31/08/2013

Damasco attende un attacco «in qualsiasi momento» | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Il regime siriano si aspetta un attacco «in qualsiasi momento». Lo ha detto una fonte della sicurezza di Damasco, citata dall’emittente ‘al-Arabiyà. «Ci aspettiamo un attacco in ogni momento, ma siamo pronti alla rappresaglia», ha precisato la fonte.

Il team di ispettori Onu incaricati di investigare sul presunto uso di armi chimiche in Siria dopo aver lasciato Damasco è giunto in Libano.

Obama: non ancora presa la decisione finale

«Non ho ancora preso una decisione». A pochi minuti dalla tanto attesa “presentazione delle prove” contro Assad da parte del suo segretario di Stato, John Kerry, Barack Obama ha subito incalzato parlando di «una serie di opzioni» che sta valutando perché l’attacco chimico siriano «è una sfida al mondo». E quest’ultimo «non può accettare l’uso del gas contro donne e bambini». Con chiara accusa al Consiglio di sicurezza dell’Onu, poi, ha aggiunto: «Molti pensano che siano giusto agire – ha detto –, ma nessuno vuole farlo». Poco prima, Kerry aveva definito Assad «un delinquente e un assassino» e si era appellato agli americani perché analizzassero «di persona» le prove raccolte dall’intelligence e presentate nel rapporto ora declassificato. Damasco ha replicato definendo quelle di Kerry «bugie senza fondamento» e «un disperato tentativo di giustificare un’aggressione». Obama ha però dato anche la sua “chiave di legalità” identificando le azioni siriane quali «una minaccia alla sicurezza nazionale». Come comandante delle Forze armate Usa, il presidente ha infatti l’autorità, davanti agli interessi nazionali minacciati, di dichiarare un intervento armato senza il via libera del Congresso. 
Ecco quindi l’importanza della presentazione del rapporto d’intelligence da parte di Kerry. Le prove – tra cui la testimonianza di un ex gerarca di Damasco e l’intercettazione di un altro «alto grado» – mostrerebbero, a suo dire, «con elevata fiducia», che il terribile attacco con armi chimiche del 21 agosto è stato compiuto «con missili provenienti dai siti controllati dalle forze del regime siriano». Drammatica la conta dei morti compiuta dagli 007 di Washington: «1.429 persone, tra cui 426 bambini». Kerry ha voluto sottolineare che il lavoro dell’intelligence è molto più accurato rispetto al passato e pertanto «non si ripeterà l’esperienza dell’Iraq». Le ragioni addotte per un’azione militare che, sarebbe «limitata nel tempo, senza l’invio di truppe di terra e senza assumersi la responsabilità della guerra civile in atto», sono però risuonate molto simili. 
Assad – che nel 2013 avrebbe usato armi chimiche molte volte – avrebbe «uno degli arsenali chimici più potenti del Medio Oriente» ed è quindi in gioco «la sicurezza e la credibilità degli Stati Uniti». «Qual è il rischio dell’inazione?» si è chiesto Kerry, sottolineando che gli Usa – che «non sono soli nella loro volontà di agire» – hanno «responsabilità nei confronti del mondo». Altri Paesi, quali Corea del Nord e Iran starebbero infatti a guardare la reazione nei confronti della Siria e da quella potrebbero trarre incoraggiamento per il proprio programma nucleare. Per tali ragioni Obama potrebbe decidere un intervento militare unilaterale e senza l’ombrello delle Nazioni Unite. Una possibilità chiaramente ventilata dal capo della diplomazia Usa che – pur ammettendo di «credere nelle Nazioni Unite e di avere il massimo rispetto per gli ispettori» i quali hanno proprio ieri concluso le rilevazioni in Siria – ha messo in chiaro: il rapporto Onu «non ci dirà nulla di nuovo, nulla di più di quanto sappiamo già». 
Come ha sottolineato il segretario generale Ban Ki-moon, che ieri ha incontrato i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, non si potrà trarre alcuna conclusione prima del completamento dei test di laboratorio e, anche allora, si potrà solo verificare l’uso dei gas, ma non la responsabilità di tale atto. Gli Stati Uniti, quindi, decideranno «secondo i propri tempi e interessi». Anche se, come aveva dichiarato la Casa Bianca, alla bocciatura da parte del Parlamento della mozione presentata dal primo ministro David Cameron, «continueranno a consultarsi con il governo britannico», uno dei suoi più stretti alleati. 
La nuova spalla per Obama è però ora l’inedita assonanza con Parigi e con Hollande che «crede nella certezza della responsabilità di Assad sull’uso dei gas». Qualunque azione, però, verrebbe portata avanti senza l’ombrello della Nato perché ieri il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, ha fatto sapere di «non vedere un ruolo della Nato nell’ambito di una risposta internazionale al regime siriano». Obama sembra quindi sempre più solo nella sua determinazione ad agire, sebbene in maniera «limitata e mirata».
Una posizione scomoda per un premio Nobel per la pace che, finora, aveva accuratamente evitato di venir coinvolto nei due anni e mezzo di guerra civile. La situazione è difficile e rischia di trasformare la crisi siriana in una crisi di fiducia per il capo della Casa Bianca. 

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June 08, 2015 at 02:00AM

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30/08/2013

Spagna, Chiesa di martiri nella Guerra civile | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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«Li perdono tutti». L’ultima lettera che José Nadal Guiu inviò ai genitori – poco pri­ma della morte – rivela la straordina­ria fede di questo giovane sacerdote. E­ra il 12 agosto 1936: quando venne fu­cilato aveva appena 25 anni. Padre Jo­sé sarà uno dei 522 nuovi martiri spa­gnoli che saliranno agli onori degli al­tari il prossimo 13 ottobre a Tarrago­na, in Catalogna, nella più grande ce­rimonia di beatificazione mai realiz­zata dalla Chiesa iberica. «I martiri del XX seco­lo in Spagna furono saldi e coraggiosi testi­moni di fede. Preferi­rono morire, piuttosto che tradire quella fe­de », sottolinea il ve­scovo Juan Antonio Martínez Camino, se­gretario generale e portavoce della Confe­renza episcopale spa­gnola (Cee).

Ma atten­zione alle interpreta­zioni forzate: qui la po­litica e il conflitto in­terno di quegli anni bui non c’entra­no assolutamente nulla. Per questo non possono essere definiti «martiri della Guerra civile»: sarebbe un erro­re. «Non sono caduti in guerra, perché non stavano al fronte», in battaglia, e «non si trovavano in nessun eserci­to », ha ricordato Camino. «Morirono a causa della persecuzione religiosa degli anni ’30 in Spagna, vissero la lo­ro fede fino alla fine e perdonarono». Furono uccisi in nome dell’«odio ver­so la fede». Le loro parole e la loro testimonianza sono ancora profondamente attuali. Ancor più oggi, durante l’Anno della fede. «Non stiamo parlando di perso­ne del XVI secolo: sono persone della generazione dei nostri nonni, che u­savano il linguaggio dei giorni nostri», ha aggiunto il portavoce della Cee. Nel lungo elenco dei nuovi martiri ci sono un centinaio di sacerdoti, tre vescovi, 412 religiosi di 23 congregazioni, ma anche laici e seminaristi. Sette marti­ri, inoltre, erano arrivati in Spagna da diversi Paesi: Colombia, Portogallo, Cuba, Francia e Filippine. La ragione fondamentale per celebra­re la beatificazione nella località cata­lana sta proprio nelle dimensioni del­la causa proveniente da Tarragona, con 147 martiri, fra i quali il vescovo ausiliare Manuel Borrás e 66 sacerdo­ti.

Non solo. C’è un altro motivo, che va ricercato nella storia antica di que­sta terra ricca di fede cristiana: nel 259 d.C. il vescovo di Tarragona, san Fruc­tuoso, e i suoi due diaconi, Augurio e Eulogio, furono bruciati vivi nell’anfi­teatro romano della città catalana, di­ventando così protomartiri del cri­stianesimo spagnolo. È anche per que­sto che è stata scelta questa diocesi per la beatificazione. La cerimonia sarà presieduta dal cardi­nale Angelo Amato, prefetto della Congre­gazione delle cause dei santi; accanto a lui ci saranno numerosi vescovi spagnoli, fra i quali il presidente della Cee e arcivesco­vo di Madrid, il cardi­nale Antonio Maria Rouco Varela. L’atto sarà trasmesso dal Canale 2 della te­levisione pubblica spagnola, ma a Tarragona arriveranno fra i 15mila e i 20mila fedeli. Le ferite di quel periodo non sono del tutto chiuse. In Spagna la Guerra civi­le (1936-1939) è tuttora argomento sensibile e facilmente strumentaliz­zabile dalla politica. Camino ha riba­dito che con quest’atto religioso la Chiesa «non cerca colpevoli», ma è mossa solo dalla volontà di «rendere o­nore ai testimoni della fede». Gli ha fatto eco il vescovo di Tarragona, Jau­me Pujol Balcells: «Una cerimonia di beatificazione non va contro nessuno: l’obiettivo è esaltare la figura degli uo­mini che realmente morirono per la loro fede». Come ha spiegato anche Encarnación González, coordinatrice del processo di beatificazione, «la Guerra civile non provoca martiri, ma caduti». Al contrario, «il martire non ha impu­gnato armi, ma è stato cercato e as­sassinato esclusivamente a causa del­la sua fede».

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August 08, 2014 at 02:00AM

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30/08/2013

Da Siria ed Egitto le nuove migrazioni | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Ormai sono in gran parte siriani ed egiziani i passeggeri dei barconi che approda­no con impressionante cadenza sulle coste siciliane. Ieri sono arrivati quattro na­tanti: due intercettati a Largo di Lampedusa e Aci Castello (Catania) mentre gli al­tri giunti fin sulla costa a Torre Salsa (Agrigento) e nella spiaggia di San Lorenzo a Noto (Siracusa). «Quello che sta succedendo in Egitto porta questa gente a cercare un porto sicuro da prendere come rifugio», ha detto Giacomo Salerno, vice co­mandante della Capitaneria di Porto di Catania, che ha coordinato i soccorsi a lar­go del centro marinaro catanese. «Ieri mattina è stata avvistata l’imbarcazione con a bordo 99 persone, egiziani e siriani, tra cui 11 donne, di cui una incinta e 17 bam­bini », ha aggiunto. La notte precedente invece era approdato nella spiaggia siracu­sana un barcone con circa 150 migranti. Le forze dell’ordine ne hanno rintracciati 126, tra cui una quarantina di bambini ed altrettante donne che hanno detto di es­sere di siriani. Il gruppo interforze per il contrasto all’immigrazione clandestina i­stituito nella Procura ha fermato tre egiziani che dovrebbero essere gli scafisti, men­tre carabinieri e polizia cercano le altre persone che si sono disperse. I migranti hanno raccontato di essere partiti sei giorni fa con una nave e di essere stati trasfe­riti sul barcone l’ultimo giorno di navigazione. Sono quindici le persone fermate dai carabinieri a Torre Salsa che farebbero parte di un gruppo di una trentina di extra­comunitari sbarcato la notte tra domenica e lunedì. Secondo i loro racconti un bar­cone li ha lasciati sotto costa e ha poi ripreso il largo. Altri 77 migranti, ghanesi e ni­geriani, erano stati soccorsi ieri mattina a circa 40 miglia a sud di Lampedusa su un piccolo gommone e portati sull’isola da una motovedetta della Guardia costiera.

E dalle indagini avviate dopo l’arrivo di 110 immigrati salvati nel canale di Sicilia da un mercantile poi giunto a Pozzallo (Ragusa), l’8 agosto scorso la squadra mo­bile ragusana ha scoperto che due pakistani caduti in mare prima del salvataggio sono stati lasciati morire in acqua dagli scafisti,

«Compagnia seria e fidata offre servizi per viaggi in Europa a partire da mille euro». Attirato da un annuncio letto nella toilette di un bar di Antakya, nel Sud della Turchia, Bakri F. ha deciso di mettere mano al telefono e allertare la sua famiglia in Siria: «Raccogliete i soldi, vado in Svizzera». Peccato però che «mille euro era solo il costo del “servizio” – spiega l’uomo originario di Latakia – e per Europa si intendeva solo la Grecia». Pagando ben oltre mille euro, Bakri è arrivato ad Atene da dove gli era stato promesso di andare in Italia “via mare”.

Condizione necessaria era però recarsi prima a Creta dove scafisti egiziani sarebbero venuti a prendere i migranti. «Ho pensato che non saremmo mai arrivati – ammette – ho avuto paura e ho trovato il modo di andare in Svizzera in camion, anche se era più costoso». Il viaggio sarebbe costato in totale 14.000 euro. Dal racconto di Bakri, e dai dati Frontex, l’agenzia europea per la protezione delle frontiere, si evince quindi che esistono due modi per raggiungere l’Europa per i profughi siriani: via terra, il che significa rimettersi nelle mani dei trafficanti iracheni, o via mare dove il business è in mano agli egiziani. L’Italia diventa così una meta obbligata di passaggio per chi sceglie di sfidare il Mediterraneo. Un viaggio di cui spesso non si conoscono i pericoli: «Vivo in Svezia da quattro anni – racconta Radwan F. un operaio specializzato originario di Aleppo – e credo che sia giunto il momento di far venire qui i miei genitori. Prima però faccio venire mio fratello». Un giovane di 24 anni pronto a fare da cavia. Radwan ha messo da parte più di 10mila euro per questo viaggio. E sembra più preoccupato dei controlli da evitare dall’Italia alla Svezia che delle insidie del mare. Conosce il destino di quei sei migranti egiziani annegati vicino alle coste di Catania il 10 agosto scorso. «Una fatalità, ma io sono sicuro del mio contatto». E qui cala il mistero, Radwan non ci dice di chi si tratta, ma una cosa appare invece evidente: i genitori dovranno prima arrivare in Egitto. Un viaggio che dalla Siria si può ancora fare, basta prendere un volo dalla Turchia, dal Libano e Damasco stessa (dove l’aeroporto è ancora in funzione). Facciamo notare a Radwan che per i genitori sarebbe molto più semplice fuggire in Turchia, che da Aleppo dista meno di 50 chilometri. «Per fare cosa? Per vivere come profughi?» dice amaramente. A due anni dall’inizio del conflitto la vita nei campi è sempre più dura. La cosiddetta “pressione demografica” impone a centinaia di migliaia di persone di condividere acqua, gabinetti, cibo razionato e tende, dove un tempo ci stava massimo in otto e ora si arriva tranquillamente a ventiquattro persone. E così basta vedere cosa succede nei campi profughi per capire come mai, improvvisamente, i siriani si sono dati alla fuga di massa. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Unhcr, conta più di due milioni di profughi oltre confine: mezzo milione in Giordania, 400mila in Turchia, oltre 600mila mila in Libano, e altri 250mila tra Iraq e Egitto.

Questi sono i numeri ufficiali, numeri che raccontano la più grande crisi umanitaria (per persone in fuga) degli ultimi venti anni . Quelli reali, invece, fotografano tutt’altra verità. Ci sarebbero oltre un milione di siriani in Libano, un paese grande come il Lazio, dall’estrema fragilità politica, che ha visto crescere la sua popolazione del 20 per cento in due anni. Tanto da aver appena bandito l’ingresso ai palestinesi siriani in fuga dalla guerra. Sono le famiglie che arrivano dal grande campo profughi di Yarmuk, a Damasco. Nel Paese dei Cedri di palestinesi ce ne sono già mezzo milione, progenie di scappò dalla Palestina dopo la guerra del 1948. Cinico a dirsi, ma Beirut ha stabilito “un tetto”, tra l’altro abbondantemente sforato. I palestinesi siriani si sentono gli ultimi tra gli ultimi, «più profughi degli altri», racconta Salim S. 24 anni, originario proprio di Yarmuk, ora rifugiato politico in Svezia. «Sono arrivato a gennaio – dice – e mi sono sorpreso nel vedere quanti siriani ci fossero qui. Pensavo di soffrire di nostalgia e invece ogni volta che vado all’ufficio immigrazione di Malmö trovo gente del mio quartiere». È verso la Svezia infatti che è iniziata già da tempo una fuga silenziosa. Oltre 3.000 richieste di asilo di siriani sono già state soddisfatte nel 2012, altre 18.000 sono in arrivo, numeri ben diversi da quelli italiani dove le richieste dei siriani nel 2012 sono state 385. Numeri che andranno di certo aggiornati alla luce degli incessanti sbarchi di questi giorni, che iniziano ormai a preoccupare anche la Capitaneria di Porto italiana. A destare allerta, oltre ai numeri consistenti, è l’inesperienza di “scafisti improvvisati” che sperimentano nuove rotte usando imbarcazioni moderne che non vogliono perdere. Per questo abbandonano i migranti vicino alla costa, lo fanno perché vogliono tornare indietro, senza curarsi del fatto che spesso i migranti non sanno nuotare.

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August 08, 2014 at 02:00AM

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30/08/2013

Somalia, è allarme poliomielite | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Non bastava la notizia dell’abbandono da parte di Medici senza frontiere, che lo scorso 14 agosto ha dovuto mettere la parola fine a 22 anni di impegno umanitario in Somalia. A rendere più grave la situazione sanitaria del Paese (devastato da oltre vent’anni di guerra civile) l’esplosione di una drammatica epidemia di poliomielite dopo sei anni di assenza della malattia.  I dati, raccolti e diffusi dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli affari umanitari (Ocha), mettono in evidenza una situazione allarmante: 105 i casi confermati al 14 agosto, pari a quasi la metà di tutti quelli segnalati nel mondo nel 2012 (223), e 600 mila bimbi in attesa di un vaccino che sembra non poter arrivare.

La Somalia – sottolineano gli operatori Onu – sta vivendo «la peggiore epidemia di poliomielite tra Paesi in cui la malattia non è endemica». La recrudescenza della polio è concentrata soprattutto nel Sud della Somalia, nelle aree controllate dal gruppo islamista al-Shabaab. I miliziani di ispirazione qaedista avevano occupato Kisimayo (la più importante città della regione) dall’agosto 2008 al settembre 2012, imponendo sulla regione la legge islamica. Anche l’accesso alle cure sanitarie venne fortemente limitato, in modo particolare al-Shabaab ha messo al bando le vaccinazioni anti-polio in tutta l’area centro meridionale nella Somalia.
Agli occhi degli integralisti, medici e operatori umanitari che lavorano per debellare la malattia sono “agenti stranieri” che operano per occidentalizzare il Paese, o peggio per inoculare veleni che uccidano o rendano sterili i musulmani.

Una campagna d’odio che ha reso pericoloso il proseguire delle vaccinazioni «L’impossibilità di un completo accesso a queste aree rappresenta la minaccia maggiore per il controllo dell’epidemia – si legge nel rapporto dell’Onu – Da quanto è iniziata, in maggio, 105 bambini sono stati colpiti da paralisi a causa del virus. Ma ciò significa che ce ne sono probabilmente migliaia in più portatori del virus, asintomatici ma in grado di diffonderlo». A peggiorare la situazione, rendendo i bambini più vulnerabili all’infezione, ci sono anche gli elevati tassi di malnutrizione, i problemi sul fronte della sicurezza alimentare, le condizioni igieniche e ambientali.

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July 08, 2014 at 02:00AM

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30/08/2013

Utero in affitto, regole affidate al caos  | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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La diffusione della maternità in affitto sta diventando un problema a livello internazionale più che una soluzione ai problemi di infertilità. Dalle organizzazioni non governative impegnate nella promozione dei diritti umani, alle agenzie e alle istituzioni internazionali, il mondo sta prendendo lentamente coscienza delle gravi problematiche create da questo tipo di percorso che, per sua natura, tende a superare le frontiere fra Stati. Il Parlamento Europeo, per esempio, nella risoluzione del 5 aprile del 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’Ue in materia di lotta alla violenza contro le donne, si è pronunciato contro la maternità in affitto senza se e senza ma, e testualmente:
20. chiede agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili;
21. rileva che le donne e i bambini sono soggetti alle medesime forme di sfruttamento e possono essere considerati merci sul mercato internazionale della riproduzione, e che i nuovi regimi riproduttivi, come la surrogazione di maternità, incrementano la tratta di donne e bambini nonché le adozioni illegali transnazionali.
Ma il ricorso alla gestazione conto terzi a livello globale sta aumentando, anche se non è possibile conoscerne con esattezza le dimensioni, e neppure il numero delle cliniche o agenzie coinvolte: disponiamo solamente di stime indirette. Per esempio un progetto di ricerca sull’argomento della Aberdeen University ha coinvolto  cinque agenzie specializzate in maternità in affitto a livello internazionale, con sede negli Usa, India e Gran Bretagna, il cui volume di attività dal 2006 al 2010  è aumentato complessivamente  del 1000.0 %.
Oltre alla drammatica situazione delle madri surrogate è necessario tenere presente quella dei bambini nati: troppo spesso si pone il problema di stabilire quali siano i genitori legali, e quale la cittadinanza. Di uteri in affitto, infatti, i giornali parlano soprattutto in quei casi – purtroppo non rari – in cui i neonati restano invischiati in un limbo normativo che li rende apolidi e magari anche orfani, pur potendo «vantare», teoricamente, fino a sei genitori variamente combinati (committenti, surrogati, genetici).
A normare la gravidanza conto terzi sono leggi e regolamenti nazionali diversissimi fra loro, che riguardano sia direttamente il fatto in sé – la maternità in affitto – che le questioni della filiazione e della cittadinanza.
Dal punto di vista normativo possiamo distinguere stati che proibiscono la maternità in affitto, stati in cui è sostanzialmente non regolata, stati che la consentono esplicitamente e la regolano, stati con un approccio permissivo e che ammettono esplicitamente il pagamento alle donne. Di seguito un prospetto schematico della situazione, aggiornato al marzo del 2012, tratto dal rapporto preliminare sulla maternità surrogata a cura del Permanent Bureau della Hague Conference on Private International Law.

 
Stati che proibiscono l’utero in affitto.
Francia, Germania, Italia, Messico (Queretaro), Svezia, Svizzera, alcuni stati degli Usa, Cina (continentale, esclusa Hong Kong). In Austria e Norvegia è proibita la cessione di ovociti, e il divieto di maternità surrogata è una conseguenza, quando l’ovocita non appartiene alla donna che mette a disposizione il proprio utero. In questi paesi non valgono quindi gli accordi di maternità surrogata stipulati altrove, e solitamente la madre legale del bambino, è la donna che lo ha partorito.
Stati in cui la maternità surrogata è sostanzialmente non regolata.
Sono quelli in cui la legge non prevede un divieto esplicito, e quindi la madre surrogata non può essere obbligata a rispettare il contratto, cioè a cedere il neonato. Spesso sono proibiti, e puniti penalmente, gli accordi che prevedono espressamente pagamenti, mentre sono incoraggiate le maternità in affitto cosiddette «altruistiche», cioè in cui sono previste cifre «ragionevoli» per le spese sostenute dalle donne. Si tratta di Argentina, Australia (nel Nord), Belgio, Brasile (non c’è una legge ma esistono linee guida per le cliniche), Canada, Repubblica Ceca, Irlanda, Giappone (la Società Giapponese di Ostetricia e Ginecologia ha adottato linee guida nel 2003 che vieta ai medici di essere coinvolti nelle maternità surrogate, ma non c’è una norma che la proibisca), Messico (Messico City), Olanda, Venezuela, alcuni stati Usa. Generalmente in questi stati la giurisprudenza tende a riconoscere come madre legale del bambino la donna che gli è geneticamente legata. 
Stati in cui è espressamente permessa e regolata.
Si dividono in due gruppi: un primo in cui si segue un processo di approvazione del contratto di surroga prima che la donna resti incinta. Un organismo apposito verifica il rispetto dei requisiti previsti dalla legge. Solitamente è vietato un pagamento esplicito, ma sono consentite elargizioni di somme per spese “ragionevoli” sostenute durante la gravidanza, spesso indefinite. In questi casi la madre surrogata è obbligata a rispettare il contratto, che sostanzialmente passa dalle parti contraenti allo stato, che ne punisce la violazione. I paesi sono: Australia (Victoria, Western Australia e, per prassi piuttosto che per legge, Australia Capital Territory), Grecia, Israele (è previsto un compenso mensile per “dolore e sofferenza” oltre al rimborso spese, ma in certi casi il ripensamento è consentito), Sud Africa (se la madre surrogata è anche quella genetica ha due mesi di tempo per ripensarci), e, parzialmente, la Nuova Zelanda. Nel secondo gruppo di stati le condizioni dell’accordo sono verificate retrospettivamente, e dopo la nascita del bambino si trasferisce la responsabilità legale dei genitori dalla surrogata (e il partner) ai committenti. In questi casi la legge non obbliga all’adempimento del contratto, e la madre surrogata non può essere obbligata a rinunciare al bambino. Parliamo di: Australia (Queensland, New South Wales, South Australia), Canada (Alberta, British Columbia), Cina (Hong Kong SAR), Gran Bretagna (v. articolo del 10 agosto).
Stati con un approccio permissivo e che consentono pagamento esplicito.
L’accesso ai contratti di gestazione conto terzi è consentito anche a coppie che non risiedono in questi stati, alle quali comunque sono spesso richiesti altri requisiti specifici, diversi da paese a paese. Dopo la stipula del contratto di solito sono previste procedure che definiscono genitori legali del neonato uno o entrambe i committenti. La madre surrogata può avere o non avere l’obbligo di cedere il bambino agli aspiranti genitori, a seconda dei paesi. Si tratta di: Georgia, India, Russia, Tailandia, Uganda, Ukraina, e 18 stati negli Usa (con varie legislazioni). Sono state segnalate agenzie con madri surrogate da Armenia e Moldova. Sono questi gli stati “hubs”, centri di riferimento dove arrivano da tutto il mondo coppie in cerca di uteri in affitto.

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July 08, 2014 at 02:00AM

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30/08/2013

Elicotteri e cecchini: nuova mattanza in Egitto | Avvenire RSS Feed – Avvenire Home Page

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Il pugno di ferro usato dalle Forze ar­mate egiziane contro i sostenitori del presidente islamista Moham­med Morsi nello sgombero dei sit-in di piazza al-Nahda, a Giza, e Rabaa al-Adawiya, al Cairo, non ha fermato la de­terminazione dei sostenitori del presi­dente deposto lo scorso 3 luglio con un colpo di Stato.

Il «Giorno della collera»
In vista la corte marziale
Nelle prossime ore, a quanto rivelano fonti della sicurezza, il governo potreb­be proclamare la Legge marziale per stroncare quello che si sta trasforman­do in un conflitto civile. Anche ieri il Cai­ro e molti altri centri urbani (Alessan­dria, dove sarebbero 40 le persone ucci­se dai colpi sparati dai tank dell’eserci­to, Giza, Ismailia, Tanta, Mansoura, Da­mietta, al-Arisch, Fayoum, Marsa Ma­trouh), sono stati militarizzati – blinda­ti in tutti i punti nevralgici – e messi a fer­ro e fuoco, dopo le marce di centinaia di migliaia di pro-Morsi formatesi per ce­lebrare quello che è stato chiamato il «Giorno della collera». Così l’“Alleanza per la legittimità e la democrazia”, in cui la Fratellanza musulmana ha il ruolo di timoniere, ha denominato la giornata, con chiaro riferimento a quel 25 gen­naio 2011 in cui l’esasperazione popo­lare nei confronti del regime di Hosni Mubarak diede il la alla rivolta. I cortei convocati nella sola capitale sono stati 28. Ancora una volta, “guerra” di cifre: 27 i morti per il governo, almeno 95 se­condo i pro-Morsi.

La battaglia di piazza Ramses
Le fosse comuni e le atrocità
La battaglia si è concentrata in piazza Ramses: lancio di gas lacrimogeni da parte della polizia, raffiche dagli elicot­teri militari, spari dal centrale ponte 15 maggio. E sul Web hanno cominciato a circolare immagini di fosse comuni ri­trovate dagli agenti di fronte alla mo­schea di Rabaa, opera degli islamisti.

I Fratelli: «Resistenza a oltranza»
Il governo: «Complotto terrorista»
La Guida suprema dei Fratelli Musul­mani, Mohammed Badie, ha incitato al­la “resistenza”: «Il popolo che manifesta pacificamente nonostante la ferocia del colpo di Stato militare, resisterà fino a quando il golpe svanirà». La Fratellanza ha promesso «settimane di proteste». E ha accusato Washington di aver orga­nizzato il golpe anti-islamista. Per par­te loro, gli attivisti di Tamarod (anti-Morsi) hanno invece chiesto alla popo­lazione di mobilitarsi, proteggendo i quartieri, così come i luoghi di culto mu­sulmani e cristiani, dai «terroristi». Il go­verno, impermeabile alle critiche, ha re­so noto che sta «combattendo contro un malvagio complotto terrorista».

I Ventotto: subito un vertice
«Rivedere aiuti e rapporti»
Ma ieri è stata anche la giornata della forte presa di posizione da parte dell’Unione Europea: con toni inusitatamen­te duri, il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, ha dichiarato che la responsabilità del massacro in corso ri­cade massicciamente sul governo ad interim egiziano, così come sull’am­pia leadership politica, intendendo il fronte che ha appoggiato la deposi­zione di Morsi. Su richiesta di Francia e Germania, i ministri degli Esteri dei 28 si incontreranno a Bruxelles lunedì per una «concertazione urgente». Pa­rigi, peraltro, non esclude che, per fa­re pressione sul Cairo, si possano so­spendere gli aiuti Ue all’Egitto, pari a 500 milioni di euro. Anche la Germa­nia «riesaminerà le sue relazioni con l’Egitto», si legge in un comunicato di Berlino, che sconsiglia viaggi in Egitto, al pari di Madrid. Londra chiede l’in­vio di osservatori Ue. Nell’attesa, le ca­pitali europee si sono già confrontate: il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese François Hol­lande ne hanno discusso telefonica­mente, poi è stata la volta di un dialo­go fra Parigi e Londra, seguito da uno scambio di idee fra il premier italiano Enrico Letta e Hollande. Anche il mi­nistro degli Esteri italiano Emma Bo­nino, che ha chiesto un «vertice im­mediato » sulla crisi, ha avuto uno scambio con Ashton per «concordare» un approccio comune.

Nuove dimissioni «eccellenti»
Oscurata la tv «al-Jazeera»
Al Cairo, dopo le dimissioni eccellenti del vice premier Mohammed al-Baradei, ie­ri ha lasciato l’incarico anche Khaled Dawood, portavoce del Fronte di salvez­za nazionale egiziano, piattaforma degli oppositori anti-Morsi nel recente passa­to. Fuori dalla capitale, infine, si segnala la caccia all’uomo governativa, con una serie di arresti tra i leader dei Fratelli mu­sulmani nella provincia di Beheira, sul Delta del Nilo, e ad Assiut. Infine, ancora si contano i morti di una mattanza che ha avuto come giorno clou mercoledì: 623 i morti in 48 ore secondo dati ufficiali, ol­tre 4mila per la Confraternita. Gli agenti uccisi sono 67. Ultimo dato: la tv panara­ba al-Jazeera è stata oscurata. Perché? Per­ché il governo la considera pro-Morsi.

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May 08, 2014 at 02:00AM

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